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lunedì 19 dicembre 2016

Le parole contano, si dice.
Per me questo è vero, in un senso e nell'altro.
Ci sono parole per cui provo una idiosincrasia immediata, viscerale. Parole che scatenano il prurito alle mani verso chi le ha pronunciate.
Le mie colleghe sono state gentilmente invitate a non ripeterle, pena punizioni corporali.
Perché? Perché sono parole usate a sproposito da chi le ha introdotte nel linguaggio e poi sono diventate di uso comune, magari solo nella parlata lombarda, ma abbastanza da farmi venire l'orticaria una volta al giorno.

Le mie parole sono:

SOLDINI

La mia avversione per questa parola è nata quando ho avuto la sfiga di incrociare nella vita uno dei miei ex-capi, per la precisione il numero tre della lista. Il Cretino aveva la malata abitudine di parlare dei budget pubblicitari come di soldini. "Eh, sono dei bei soldini..." "Ci dovremo mettere dei soldini sopra..." " Soldini cosa, COSA, emerito imbecille? Prima di tutto non sono soldi tuoi, quindi porta loro rispetto. In secondo luogo, non so tu, piccolo cretino dai vestiti lisi, in quale mare di benessere navighi, ma nel mio mondo quattrocentomila euro non sono soldini, sono soldi, e tanti. Sono più di  quanto guadagnerò in metà della mia vita lavorativa (se andasse tutto bene). La mia casa non vale tanto e nemmeno la tenda in cui tu Cretino vivi ora, cacciato a calci dall'azienda e ancora oggi riportante quello come occupazione su Linkedin quella di sette anni fa.
La mancetta da un euro che mi dava la nonna sono i soldini. I centesimi nel salvadanaio, sono soldini.
Nel mio mondo ideale, ci sarebbe una legge che vieta l'uso di questa parola dopo i dieci anni.

POPOLO

La invecchiamentomaturità mi sta portando una nuova coscienza sociale e politica, per cui facendo zapping tra QVC e RealTime, qualche volta mi soffermo sui dibattiti politici di La7, oppure alla radio. Inciso: trovate anche voi che la qualità dei talk show alla radio (qualsiasi) sia spannometricamente migliore di qualsiasi litigata televisiva? Fine dell'inciso e della mia coscienza politica. Tornando al tema, non avete idea di quanti politici, o wannabe tali, usino la parola popolo riferita a noi. Noi, l'elettorato, il pubblico, le persone, la GENTE normale, quella che paga le tasse e mantiene quel/la deficiente che pensa che io sia il popolo.

L'enciclopedia Treccani definisce popolo "Il complesso degli individui di uno stesso paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione (indipendentemente dal fatto che l’unità e l’indipendenza politica siano state realizzate)"
quindi tecnicamente l'uso non è sbagliato, ma mi irrita. "Il popolo vuole" "Il popolo chiede", manca solo "Il popolo ha fame" e bingo! Perchè non siamo più nel Medioevo, e nemmeno alla corte di Francia, Maria Antonietta e le sue brioches sono diventate polvere. Se mi chiami popolo fai di me la massa urlante e non pensate che sbraita per il pane. Io non sono il popolo, sono una persona, ho un'istruzione, un reddito e una intelligenza superiore alla tua che vai in tv a dire frasi preconfezionate scritte da un ghostwriter. E siamo in tanti, non sono solo un solo individuo. Perciò io non sono il popolo, sono quella grazie alle cui tasse tu mangi, ti fai curare, usi i mezzi pubblici e probabilmente paghi le prostitute.

ASSOLUTAMENTE

Assolutamente sì, assolutamente no. Sì o no non bastano più?



E le vostre parole quali sono?

2 commenti:

  1. Sei una gran figa, a leggerti, e mi sarebbe piaciuto continuare a farlo ma vedo che non pubblichi più. Sniff...

    RispondiElimina
  2. Le mie parole odiate sono:
    tipologia (anziché dire tipo, semplicemente);
    resiliente (termine della meccanica che NON significa resistenza, il solito qui pro quo di un gonzo);
    implementare (prestito farlocco dall'economismo anglosassone, non bastava migliorare?)
    Ma ne avrei decine, basta chiedere...

    RispondiElimina

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